Non piangere quando non ci sarò più, io ci sarò ancora, vivrò nella tua memoria con i bei ricordi: vedrai gli alberi, l’orto, il giardino e ti verranno in mente tutti i bei momenti passati insieme. La stessa cosa ti succederà se ti siederai sulla mia poltrona, o quando farai la torta che ti ho insegnato a fare oggi, e mi vedrai davanti a te con il naso sporco di cioccolato …e sorriderai!”
(Susanna Tamaro – Va dove ti porta il cuore)
L’esperienza emotiva più dolorosa che possiamo trovarci ad affrontare è rappresentata dalla perdita di qualcuno che amiamo, la morte modifica i nostri orizzonti psicologici, dato che il nostro mondo personale non potrà mai più essere lo stesso. Questo vale anche per i bambini che, dopo un grave lutto, iniziano a percepire il mondo che li circonda come instabile, insicuro, le abitudini quotidiane che sostenevano il loro senso di sicurezza, vengono sconvolte; portando un’esplosione di emozioni, una quantità di sensazioni ed impulsi non riconoscibili e impossibili da elaborare.
Di fronte a un bambino che affronta la morte di solito si è portati a nascondere il proprio dolore, evitando di raccontare o parlare di ciò che è accaduto, così si trascura però il bisogno del bambino di piangere la perdita che ha sconvolto la sua vita.
Nella convinzione di proteggere il bambino da notizie tristi, non gli si permette di sperimentare il processo doloroso, ma necessario, della sofferenza: l’unica via che permette al bambino di rimanere in contatto con la realtà evitando che il lutto “irrisolto” continui ad essere, nell’età adulta, un pesante fardello di angoscia.
Va sottolineato che nonostante sia importante dire al bambino la verità rispetto alla morte, è sufficiente comunicargli solo gli aspetti generali di come è accaduto in modo che sia per lui più facile elaborarli nel tempo. È fondamentale inserire le informazioni in modo graduale, e solo come modalità di risposta alle sue domande specifiche, in modo che il lutto venga elaborato in base ai tempi di cui ha bisogno il bambino. Grazie allo sviluppo nel tempo delle capacità cognitive, egli sarà sempre più in grado di capire i concetti astratti e di mettere a punto strategie di difesa utili a fronteggiare l’evento.
Quando un bambino sperimenta la perdita di una persona cara, può provare alcune reazioni normali quali: paura per la propria sopravvivenza, ansia di separazione, problemi a formare nuovi legami emotivi, dispiacere, rabbia, senso di colpa, depressione e disperazione, problemi con l’immagine di sé, pessimismo e senso d’inutilità. Spesso, la separazione traumatica porta a sviluppare la paura di allontanarsi dall’adulto, che spesso si trasforma in forte ansia.
Esistono differenze individuali nella comparsa, nella durata e nell’intensità di queste reazioni, che sono influenzate dallo stato di sviluppo del bambino, dalle sue capacità di comunicazione nonché dalle sue capacità di regolazione affettiva.
Prima dei tre anni i bambini si mostrano stupiti e compassionevoli di fronte alla morte di qualsiasi essere vivente, anche di un insetto. Quando tuttavia la morte li interessa da vicino, vivono intensamente la perdita e il dolore perché sono già in grado di capire che cosa sia la sofferenza. Pensano però che la morte possa essere reversibile.
Intorno ai cinque anni emerge un senso di confusione, il bambino non comprende del tutto ciò che sta accadendo, vive intensamente la sofferenza e ha bisogno di essere rassicurato, abbracciato, baciato e coccolato. A quest’età cominciano a credere nella sua irreversibilità e universalità.
I bambini tra i sette e gli otto anni hanno un’idea più realistica della morte, la considerano irreversibile e universale. In questo periodo di vita infatti cominciano le domande su ragioni, cause, connessioni necessarie degli avvenimenti (morte compresa). Uno dei problemi maggiori è dato dal fatto che non c’è ancora la capacità di capire e identificare le proprie emozioni, ma c’è maggior consapevolezza degli effetti negativi che provoca nei sentimenti dei parenti e degli amici la morte di una persona cara. A quest’età la reazione al lutto potrebbe manifestarsi con: regressioni ad abilità precedentemente acquisite, aumento dell’aggressività (verso le persone o verso gli oggetti), interessamento per gli aspetti che riguardano i funerali e le sepolture.
Tra gli otto e gli undici anni vedono la morte come la fine delle funzioni vitali, per esempio come assenza di respiro o assenza di battito cardiaco.
Dagli 11 anni in su il bambino entra nella fase dei vissuti emotivi legati alle angosce di morte e di evocazione delle proprie perdite. La morte è compresa in termini adulti; per questo il preadolescente va trattato come tale, ricordando che spesso ha difficoltà a gestire ed esprimere le proprie emozioni, proprio come accade per gli adulti.
Per aiutare i bambini a elaborare il lutto è necessario:
- dire la verità: se un genitore, o una persona cara, sta morendo bisogna dirlo ai bambini. Diversamente li si priverebbe del tempo che rimane per parlare con colui che ancora può ascoltarli e può dare loro delle risposte. Questi ultimi scambi sono fondamentali per facilitare il successivo processo di elaborazione del lutto e rimangono per sempre tra i ricordi dei bambini, come un tesoro meraviglioso.
- farli assistere al funerale: i bambini hanno bisogno di un modello per l’elaborazione del lutto, hanno bisogno di piangere, com’è naturale fare quando si perde qualcuno che si ama. Vedere il comportamento di chi è presente al funerale li aiuta a normalizzare il dolore che provano. Inoltre, se non assistono al funerale, o se non vedono il corpo senza vita della persona amata, i bambini possono essere spinti a credere che sia ancora viva e che prima o poi tornerà da loro. Senza un funerale, la morte può essere percepita dai bambini come un abbandono, causando conseguenze emotive importanti sul loro sviluppo affettivo;
- far vedere la propria tristezza, si può e si deve piangere insieme, ma bisogna evitare di far percepire al bambino che si è psicologicamente sopraffatti dal dolore. Se ciò accade i bambini si chiudono in sé stessi e iniziano a immaginare che se si mettessero a piangere, il genitore crollerebbe del tutto o li abbandonerebbe. Il bambino ha bisogno che il genitore sia il primo a parlare, che gli mostri di essere abbastanza forte da affrontare il tema della morte;
- rispondere alle loro domande, perché se un bambino chiede, significa che è pronto ad avere delle risposte e non serve stare in silenzio. Quindi raccontare la verità permette al bambino di accogliere le sue emozioni e di trasformare l’evento traumatico in un evento mentale, creandosi così una rappresentazione interna ideale per esprimere e sentire il proprio dolore.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.