Frasi come queste sono il segno di una vecchia ferita mai rimarginata e ancora dolorosa, l’impronta di un bisogno d’amore rimasto inappagato.
Molte persone si sentono sole, non capite, rifiutate, non amate o amate troppo poco. Questi sentimenti trovano la loro origine in esperienze amorose non felici, magari vissute nell’infanzia e che ora influenzano profondamente tutte le relazioni affettive.
Dal modo in cui si entra in relazione in età adulta, è possibile dedurre il modo in cui le figure significative dell’infanzia si sono prese cura di noi e, di conseguenza, come ci siamo sentiti amati.
In genere la persona che non è stata amata si sforza di cercare negli altri l’amore e l’accudimento mai ricevuti dai genitori o dalle figure significative che nell’infanzia avrebbero dovuto prendersi cura di loro. Queste persone tendono a costruire rapporti di dipendenza affettiva e non riescono a considerare il partner come un altro individuo.
Durante l’età adulta queste persone tendono a cercare nella relazione con il partner quell’amore incondizionato che il bimbo cerca nelle figure genitoriali. Se il “non amato” sente di non aver trovato l’amore indiscusso di cui solo un bambino piccolo ha bisogno e che soltanto da piccoli possiamo sperimentare, rimarrà deluso in quanto anche l’amore del partner più devoto non sarà mai abbastanza per lui. Tutte le dimostrazioni di fedeltà, solidarietà, affidabilità e dedizione verranno inconsciamente paragonate alla richiesta insoddisfatta verso il padre o la madre. Arriverà così alla sbagliata sensazione di aver perso il partner anche quando questo è molto vicino.
Le persone che soccombono all’apatia e alla solitudine non appena rimangono sole e le persone che non si piacciono abbastanza per sentirsi bene in compagnia di sé stesse, sono prigioniere della mancanza di amore di sé. Inutilmente vagano per il mondo alla ricerca di qualcuno che possa finalmente renderle libere. Cercano nuovi amici, nuovi amori, nuovi terapeuti, nuove guide spirituali che li liberino dall’isolamento, ma la porta della prigione si apre solo dall’interno, e loro sono la chiave per aprirla. La liberazione dalla prigionia inizia con l’amore di sé.
La psicoterapia offre in questi casi un valido aiuto alla riscoperta di sé come persone amabili. Ripercorrendo le fasi dell’attaccamento infantile e il successivo sviluppo delle relazioni affettive, si cerca di dare senso a ciò che è stato, e, integrando il passato con il presente, si cerca di dare un nuovo significato al proprio essere ed esistere.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.