La favola che ci raccontiamo ogni giorno, ovvero: quando la soluzione diventa il problema
Covid a parte, la società in cui viviamo attualmente è stata definita come quella del benessere.
Eppure, spesso può sembrarci che le persone che ci circondano vivano sul filo del rasoio. È probabile che anche noi stessi ci sentiamo come una corda tesa senza spiegarcene il motivo. Dunque, nonostante la realtà ci dimostri ogni giorno che difficoltà e insoddisfazioni sono parte della vita di ognuno, tendiamo sempre a voler trovare la così detta “felicità da Mulino Bianco”.
Ma perché le persone non vogliono abbandonarsi alla visione di una vita ad ostacoli? Sembrerebbe proprio che lo stare bene sia una delle principali prerogative dell’uomo. Tutto quello che realizziamo lo facciamo perché pensiamo che porterà a noi qualcosa di buono, che ci potrà donare piacere.
Perfino ciò che ci sembra faticoso è compiuto per ricercare benessere, come per esempio il lavoro. La nostra società ci spinge a lavorare per poter ricevere il sostentamento necessario a vivere in un mondo civile, senza lottare per la vita. Tuttavia, l’uomo tende anche ad ottimizzare il dispendio delle proprie risorse e, quindi, usa spesso quelle che in psicologia vengono chiamate euristiche, nonché scorciatoie cognitive che permettono di giungere al risultato atteso prima del previsto e con il minore sforzo.
Come frequentemente si riscontra, però, la strada più giusta non è sempre quella più semplice, infatti l’essere umano è anche soggetto a molti bias che lo portano a raggiungere i propri obiettivi lasciandosi alle spalle errori di cui spesso non è consapevole. Ecco allora che anche la ricerca di quella tanto agognata felicità, può nascondere un bias: ritenere che la felicità sia condizione naturale di tutti gli esseri umani, ovvero che l’uomo debba essere felice per natura.
Anni e anni di vite basate su tale errore sono le fondamenta che hanno generato quello che ormai è diventato un vero e proprio mito e che, di conseguenza, ha costruito man mano il pensiero comune dell’infelicità come associata all’anormalità. Così facendo, è diventato frequente pensare che sia giusto rimproverarsi per gli inevitabili pensieri e le ineludibili emozioni dolorose che ci assalgono in particolari momenti della nostra vita, cogliendo queste dinamiche come pura debolezza personale, anziché come eventi tipici della routine di ogni persona.
E vissero per sempre felici e contenti: le due leggende della favola della felicità assoluta
La favola della felicità assoluta, proprio per il suo ruolo embrionale nelle vite di ognuno di noi, ha portato alla diffusione di ben due leggende sul modo per poter scrivere un lieto fine alla nostra storia.
La prima di tali leggende è quella dell’abbandono dei sentimenti negativi.
Analizzando bene tale concetto, vi sarà presto facile capire l’utilizzo del termine “leggenda” per spiegare delle visioni largamente diffuse, sebbene non esattamente corrette. Infatti, chi potrebbe mai vantarsi di aver lasciato per sempre le emozioni negative? Non sapendo cosa ci riserva il futuro, è improbabile poter affermare con certezza di non rivivere mai più sensazioni sgradevoli. Si può tentare di improntare la propria vita guardando il fantomatico “lato positivo”, ma questo non ci assicurerà di non provare più emozioni come la tristezza, l’insoddisfazione o la rabbia.
Ciò succede poiché tutti i vissuti di cui prendiamo parte possono avere aspetti sia piacevoli che non, a seconda di numerosissimi fattori su cui non abbiamo sempre il controllo.
È proprio con quest’ultima parola, “controllo”, che ne approfitto per introdurre la seconda leggenda per vivere felici: dominare i nostri pensieri e sentimenti.
Esistono moltissime tecniche per poter placare le idee negative o per fare in modo che queste abbiano un impatto ridotto e circoscritto sul resto della nostra vita, ma di sicuro non sono tecniche che assicurano di liberarsi totalmente dei sentimenti sgradevoli a cui siamo soggetti, poiché il controllo che abbiamo sulla nostra mente è molto meno di quello che è nostra abitudine considerare.
Inoltre, purtroppo, questa seconda leggenda ha dato origine anche ad un circolo vizioso poco salutare. Infatti, credere di avere largo controllo sui nostri pensieri fa in modo di avere elevate aspettative sugli effetti desiderati da tale azione, ma quando ci si trova di fronte all’evidenza di non essere riusciti appieno in tale missione, si finisce col demoralizzarsi e col sentirsi inadeguati, dando origine a nuovi pensieri negativi che si sente il bisogno di controllare.
Ma come sono nate queste leggende? Come ha fatto a diventare così radicata l’idea che si possa controllare il proprio pensiero? La risposta sta nella trasmissione generazionale, ovvero nella potenza di un modello genitoriale capace di influenzare i propri figli con affermazioni tipo “non piangere, dai!” oppure “non c’è nulla di cui aver paura”. Ovviamente non sono queste due semplici frasi in sé ad aver portato alla diffusione dell’autocontrollo mentale, ma sono rappresentative dell’errata concezione che è andata via via insinuandosi nella nostra cultura. Affermare che non ci sia nulla che possa far nascere paura vuol dire sminuire l’emozione sentita da una persona in un particolare momento. Quella paura è stata percepita ed è stata scatenata da qualcosa, dunque negarla vuol dire toglierle significato e, di conseguenza, trasmettere che l’averla provata sia stato un errore.
Ma come si può non provare paura? Come si può smettere di piangere? Qualcuno ci è mai riuscito per sempre? Impossibile.
Sentimenti negativi ci aiutano a vivere più serenamente: un aiuto paradossale?
Pensieri, emozioni e sentimenti negativi sono parte della vita di ognuno.
Riuscire ad interiorizzare tale concetto è il primo passo per poter vivere più serenamente, poiché permette di alleggerirsi dal peso di essere fuori dalla norma, dal peso di considerare non solo le circostanze che ci recano preoccupazione come problematiche, ma anche le nostre reazioni a queste nello stesso modo. Paradossalmente, riconoscere l’esistenza di vissuti soggettivi negativi come normale, può essere un primo aiuto per migliorare la reazione che si ha di fronte a tali esperienze.
Se sei interessato a conoscere alcune tecniche che possono guidarti ad assumere un punto di vista più aderente alla realtà e a vivere le tue emozioni più liberamente, contattami pure per un incontro. Sono qui per te.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.