Che cosa spinge un testimone di un aggressione a non intervenire in difesa della vittima?
Cosa ha spinto i testimoni del caso dell’ambulante di origine nigeriana ucciso a mani nude per aver chiesto l’elemosina a una coppia che passeggiava per le vie di Civitanova Marche nel luglio 2022 a non intervenire in suo aiuto? La ferocia del gesto? L’ombra della motivazione razzista e xenofoba?
Si tratta di una lettura approssimativa poiché ignora certi basilari meccanismi della psicologia sociale che da anni cerca di conoscere le risposte degli individui in situazioni di emergenza. Il primo caso che ha aperto il dibattito su questo tema è quello di Kitty Genovese.
La storia di Kitty Genovese
Nella notte del 13 marzo del 1946, la giovane ventinovenne Catherine Susan Genovese venne selvaggiamente pugnalata ed uccisa in un vicolo di New York. L’aggressione avvenne in due fasi. La giovane donna parcheggia l’auto a trenta metri da casa sua e nel tragitto viene aggredita dal suo carnefice che, date le urla della vittima, viene messo in fuga e scappa con la sua auto. Nel frattempo, Kitty cerca e trova riparo nell’androne di un palazzo, dove viene nuovamente intercettata dal suo aggressore ed uccisa. Così narrato sembra un classico caso di cronaca nera. Il particolare che fece più scalpore però, fu che alla scena assistettero ben trentotto persone. Questi “spettatori” si affacciarono alle proprie finestre dopo aver udito le urla della ragazza ed averla vista sanguinante. Alcuni testimoni affermarono di aver allertato le forze dell’ordine. Il problema principale era che all’epoca non esisteva un numero per le emergenze, che nacque proprio come conseguenza a questo caso. Altri testimoni, invece, dichiararono di aver pensato che il loro singolo aiuto non avrebbe cambiato la situazione perché “sicuramente qualcuno ha visto più di me ed ha già chiamato la polizia”.
Effetto spettatore: che cosa significa?
A partire da questo episodio, John Darley e Bibb Latané, ricercatori di psicologia sociale della Columbia University, avviarono diversi esperimenti per comprendere quali condizioni portassero le persone a intervenire o meno in situazioni di emergenza. I risultati mostrarono che agire in caso di emergenza non è così scontato come potrebbe sembrare e che per farlo è indispensabile che siano soddisfatte diverse condizioni ambientali, ma soprattutto giunsero alla scoperta del cosiddetto “effetto spettatore”: la probabilità di offrire soccorso diminuisce drasticamente in situazioni di pericolo in cui sono presenti più testimoni. Tale effetto è causato dal fenomeno sociale della diffusione di responsabilità, secondo il quale ogni persona non interviene pensando che tanto sarà qualcun altro a farlo. Secondo questa teoria, la presenza di più testimoni riduce notevolmente la possibilità che qualcuno presti soccorso piuttosto che il contrario.
Il trauma di assistere ad un omicidio
Dal punto di vista clinico però assistere a un omicidio rappresenta un evento traumatico. La psicologia definisce trauma qualunque evento che metta a rischio la vita propria o altrui. In queste circostanze la mente razionale, corrispondente alle aree cerebrali della corteccia, si “blocca” per dare spazio al sistema limbico, detto anche cervello emotivo sottocorticale ed evoluzionisticamente più antico, che reagisce attraverso delle risposte atte a massimizzare le probabilità di sopravvivenza. Queste risposte non sono intenzionali e nemmeno controllabili, appunto per questo nessuno può essere certo di quale sarà la propria reazione finché non si troverà coinvolto in un simile evento.
Tutti gli animali, di fronte ad un pericolo, condividono le medesime risposte che sono: la fuga, l’attacco e, quando nessuna di queste opzioni è possibile, il freezing. Durante il congelamento l’azione si blocca, il corpo è come congelato mentre la mente perde la sua capacità di integrazione e si dissocia. La dissociazione solitamente si mostra attraverso un senso di offuscamento emotivo, di apatia e di indifferenza.
Quando la situazione traumatica congela l’azione lascia vittime e testimoni in preda al senso di colpa per “non aver fatto niente”. Un meccanismo di difesa per “staccarsi” dalla scena utilizzato nel caso di Civitanova Marche, è stato quello di riprendere l’avvenimento con il telefonino: filmare è stato uno dei modi di fare qualcosa, forse l’unico possibile, di fronte all’impatto schiacciante dell’orrore, un gesto conservativo verso sé stessi e verso l’altro. Certo i filmati non sono bastati a salvare la vita della vittima, ma sono stati comunque fondamentali per rintracciare l’aggressore e consegnarlo alla giustizia.
Sollecitando una gogna mediatica nei confronti di coloro che non sono intervenuti si corre il rischio di raddoppiare il trauma, di aggiungere al trauma di aver assistito ad una violenza inenarrabile quello della colpa per non aver fatto abbastanza per evitarlo.
EMDR per il congelamento emotivo da trauma
L’EMDR è una tecnica efficace per intervenire sugli esiti di chi è stato spettatore impotente di evento traumatico che ha causato il rischio di morte o la morte effettiva di un altro essere umano. Oltre ai casi citati qui sopra, l’effetto testimone lo rinveniamo anche in altri casi come ad esempio le catastrofi naturali, gravi incidenti automobilistici, ecc…
Se anche tu hai assistito impotente ad evento traumatico e ne porti ancora le conseguenze, non aspettare oltre.
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Per saperne di più sull’EMDR puoi guardare i video dell’associazione EMDR Italia
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.