La paura di “steccare”
Cos’è l’ansia da palcoscenico e come non farsene dominare
La paura di bloccarsi, di “steccare”, di esibirsi male. E’ la cosiddetta ansia da palcoscenico: un fenomeno particolarmente diffuso tra gli artisti, e in particolar modo i musicisti, spesso però confuso con altri generi di disagio, ovvero l’ansia sociale e l’ansia da prestazione. Risultato? Che spesso i musicisti si sentono, o vengono comunemente percepiti, come persone fondamentalmente insicure: che anelano il momento della prova pubblica, ma allo stesso tempo vanno incontro a grandi sofferenze per affrontarla.
Fare un po’ di sana chiarezza risulta quindi non solo appropriato, ma decisamente necessario, per sfatare alcuni falsi miti e liberare i performer dall’erronea convinzione di essere degli insicuri patologici.
Distinguere l’ansia
Come è noto, l’ansia è una sorta di forma soggettiva di disagio: non esiste nulla, infatti, che sia oggettivamente ansiogeno per tutti, ma è il punto di vista che il singolo applica alla situazione a renderla, o meno, disagevole. Nella sua manifestazione più semplice è perciò una forza che spinge e prendere i provvedimenti necessari affinché il tal fenomeno percepito come negativo non si realizzi. Così, ad esempio si decide di studiare a fondo per passare l’esame a scuola e in questo caso si parlerà di ansia da prestazione. Oppure si stabilisce di farsi accompagnare a una festa da un amico per superare il primo impatto dell’ansia sociale, derivante dal conoscere nuove persone. Ma allora cos’è l’ansia da palcoscenico?
Esibirsi sotto gli occhi del pubblico è, nel sentore comune, un’azione particolarmente ansiogena. E c’è chi, all’idea di andare in scena, sente montare il panico. Allora l’ansia è intrinseca e patologica al lavoro del musicista, o del performer? Bisogna considerarlo come un soggetto affetto da ansia in senso lato, ovvero nella vita? Niente affatto.
La vita non è un palcoscenico
Ci sono moltissimi artisti che vedono nel momento adrenalinico del contatto con il pubblico l’unico vero motivo in grado di dare la carica e il senso alla loro attività: già di per sé questa potrebbe essere considerata una prova empirica dell’errore di fondo: ovvero quello, perpetrato per anni, di confondere la fisiologica ansia da palcoscenico di alcuni soggetti con l’ansia sociale, o da prestazione di altri.
Ma l’ansia da palcoscenico non è paragonabile all’ansia sociale, o da prestazione: recenti studi, infatti, dimostrano che è un fenomeno autonomo. La confusione, semmai, è data dal fatto che alcuni tratti sono in comune: l’ansioso da prestazione dà moltissimo valore alle aspettative che ha sulla sua perfomance, piuttosto che sui dati reali della stessa, e tende a ripensare al giudizio del pubblico come unico dato rilevante per giudicare non solo la propria attività, ma tutto se stesso. Un se stesso, è bene ricordarlo, che mette in gioco comunque andando sul palco: a differenza dell’ansioso sociale che se minimamente ne ha l’opportunità evita in tutti i modi il contatto con gli altri.
Predestinati all’ansia?
Allora perché soprattutto i musicisti temono comunque di soffrire, o patiscono l’ansia a livello totale? Non c’è via di uscita a questo circolo vizioso? Ovviamente c’è.
Con un lavoro adeguato, meglio se assistiti da uno specialista, è possibile scoprire come la confusione semantica sull’ansia si sia tradotta in una erronea convinzione che l’ansia da palcoscenico sia il sentore di un’ansia generale che pervade la vita del musicista. Studiare invece le casistiche, le aspettative e i pensieri che scatenano questo tipo di fenomeno, paragonandoli a altri casi della vita del soggetto, può far luce sull’equivoco di fondo e aiutare l’artista a comprendere che l’ansia da palcoscenico è un fenomeno del tutto fisiologico nel suo lavoro, assolutamente gestibile e senza ricadute nella sua vita privata.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.