Claustrofobia e agorafobia sono entrambe Fobie, incluse tra i Disturbi d’ansia. Esse sono caratterizzate da una paura estrema e sproporzionata di fronte a oggetti o eventi che non rappresentano un reale pericolo. La persona riconosce il fatto che la sua paura sia irrazionale, ma essa è percepita come incontrollabile. Inoltre, la persona mette in atto comportamenti di fuga o evitamento dell’oggetto o evento fobico.
La claustrofobia è la paura di luoghi chiusi ed ristretti (come, ad esempio, ascensori o tunnel) e si associa spesso all’evitamento di oggetti o situazioni che creano senso di oppressione e di mancanza di aria.
L’agorafobia, invece, è la paura degli spazi aperti e affollati o delle in situazioni in cui è difficile scappare o ricevere soccorso.
Entrambe queste fobie possono nascondere un problema relazionale.
Interpretazione psicoanalitica delle fobie
Secondo la psicoanalisi, la fobia si sviluppa a seguito della rimozione dalla propria coscienza di impulsi percepiti come inaccettabili (ad esempio rabbia o desiderio sessuale). Questi verrebbero negati e successivamente proiettati su un oggetto, per il quale si svilupperà la fobia. La proiezione del proprio impulso proibito su un oggetto o situazione esterna permette alla persona di mettere in atto l’evitamento: in quanto, evitando e non avvicinandosi all’oggetto o alla situazione fobica, non entrerà in contatto con i sentimenti/impulsi che gli fanno paura.
In base a questa interpretazione della fobia, quindi, l’oggetto/situazione evitata ha una relazione indiretta con il vero problema della persona. L’oggetto fobico simbolizza tale problema.
Interpretazione cognitiva delle fobie
Per quanto riguarda la teoria cognitiva, Guidano afferma che la reazione fobica viene manifestata dal soggetto in situazioni che lo espongono alla sensazione di perdita di protezione e/o di libertà.
All’interno della teoria sistemico-relazionale, Ugazio introduce il concetto di “polarità semantiche”, secondo cui la famiglia si organizza e si sviluppa attorno ad alcune polarità, le quali definiscono ciò che è importante per la famiglia e per la definizione di sé e dei suoi membri. Queste polarità possono essere, ad esempio: buono/cattivo; vero/falso; giusto/sbagliato; dare/ricevere.
La teoria sistemico-cognitiva, ritiene che l’aspetto fondamentale per una persona con una fobia è il bisogno di protezione o di libertà. Queste due polarità sono vissute come estremi inconciliabili e che si escludono a vicenda. Tra le due viene data maggiore importanza alla polarità “libertà/autonomia”, la quale è necessaria per lo sviluppo della propria autostima e del senso di competenza.
Sempre secondo Ugazio, la fobia si sviluppa fin dalle prime esperienze infantili con la figura di attaccamento, che, in questi casi, ostacola l’esplorazione del bambino e gli rimanda un’immagine negativa di sé. L’organizzazione fobica che ne deriva può portare all’insorgere di sintomi in periodo infantile o adolescenziale, a seguito di episodi stressanti riguardo ad una delle due polarità.
Interpretazione cognitiva della claustrofobia e dell’agorafobia
La persona con fobia è afflitta continuamente dal dubbio di inseguire la libertà di esplorare, rinunciando alla sicurezza della relazione, con il rischio di trovarsi solo in caso di pericolo; oppure di rinunciare alla libertà, preferendo la protezione rassicurante, la quale può anche essere eccessiva e soffocante. Secondo le persone con fobia le possibilità sono due e si escludono a vicenda: identificare l’autostima con la libertà e l’indipendenza, abbracciando un immagine di sé che escluda le fragilità; oppure, andare alla ricerca di relazioni affettive molto strette, impostando rapporti di dipendenza. La prima opzione rimanda alla claustrofobia, la seconda, invece, all’agorafobia.
Il claustrofobico prova paura nelle situazioni che vive come “perdita di libertà” (come ad esempio un rapporto troppo stretto o la nascita di un figlio). L‘agorafobico, al contrario, percepisce come pericolose le situazioni che interpreta come “perdita di protezione” (come ad esempio la fine di una relazione d’amore o dover svolgere un lavoro che richiede più responsabilità).
Quindi, da una parte, vi è la scelta dell’indipendenza a discapito di un relazione affettiva intima e che permetta un coinvolgimento emotivo; dall’altra parte, vi è la scelta della protezione e del senso di sicurezza forniti da un legame stretto, rinunciando alla libertà e sperimentando un basso livello di autostima.
La persona che soffre di claustrofobia può avere comunque relazioni sentimentali, a condizione che comportino un basso livello di coinvolgimento. Tendenzialmente, ha partner poco brillanti, molto dipendenti, che si coinvolgono emotivamente per entrambi. Il claustrofobico, quindi, si ritrova in una posizione di superiorità nella coppia, è egocentrico, poco disponibile e spesso svaluta il partner.
La persona che soffre di agorafobia, invece, tende a cercare relazioni molto strette, dalle quali dipendere, mettendo al primo posto la relazione, a discapito del sé. Sperimenta una continua paura che la relazione finisca, e quindi sottopone le persone e la relazione a continua verifiche. La persona non si sente realizzata, proprio a causa della mancanza di autonomia e indipendenza. Tendenzialmente, l’agorafobico ha relazioni molto durature, iniziate spesso in giovane età, e con persone “forti” e protettive, alle quali si dedica completamente. Al contrario del claustrofobico, si trova quindi in posizione di inferiorità all’interno della coppia.
Dunque, la fobia, e in particolare i due estremi della claustrofobia e agorafobia, originano da problemi di natura relazionale che sfociano in modalità disfunzionali di vivere le relazioni. Nel primo caso, la persona si sente soffocare (ha paura degli spazi chiusi e ristretti); nel secondo caso, invece, la persona ha paura di rimanere solo e di non essere aiutato da nessuno in caso di pericolo (è angosciata dagli spazi aperti e dispersivi, che gli fanno sperimentare mancanza di protezione).
Un lavoro psicoterapeutico potrà permettere di andare oltre questo dilemma tra le due polarità opposte, adottando così un atteggiamento più costruttivo, di mediazione tra i due poli. Collegando la paura al suo problema relazionale di fondo, si potrà giungere a un rapporto armonico tra bisogni e paure.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.