Cosa ci fa sentire senza una via d’uscita?
Esistono diversi motivi che spingono una persona a rivolgersi in terapia, tutti hanno in comune la volontà di rispondere a domande al quale non riescono a rispondere, ma difficilmente una persona si rivolge ad un terapeuta per qualcosa del passato; infatti, i motivi che spingono a chiedere aiuto riguardano il presente, comportamenti, pensieri e sentimenti distruttivi di cui non si riescono a liberare.
La maggior parte delle persone che hanno avuto un’infanzia difficile sono convinti che, essendo avvenuti in passato molti anni prima, dovrebbero essere vissuti come esperienze irrilevanti o istruttive. Chi vede le esperienze passate come istruttive comprende che aveva avuto la reazione sbagliata ma ora che è più maturo sarà in grado di comportarsi diversamente; chi invece si sforza di vedere le esperienze del passato come irrilevanti è mosso dal senso di dovere di vedere le cose in maniera diversa e così facendo intensifica e aggrava il senso di fallimento e la percezione negativa di sé stesso.
Ma cosa spinge una persona a sentirsi senza via d’uscita? Sono i ricordi non elaborati e immagazzinati in modo alterato nel nostro cervello. Questi ricordi non sono presenti in modo cosciente nella memoria delle persone, loro percepiscono solo che qualcosa non funziona; queste persone continuano a percepire sentimenti negativi e a fare pensieri intrusivi che fanno scattare una reazione angosciosa. In questo modo un uomo pienamente realizzato sul piano personale e professionale può diventare molto infantile, introverso e cambia espressione e postura quando si rapporta con genitori e fratelli; percepisce emozioni, pensieri e sensazioni fisiche che lo fanno sentire impotente, insicuro e non sufficientemente capace facendo entrare la persona all’interno di un circolo vizioso che porta queste emozioni e questi pensieri a ripresentarsi.
C’è una predisposizione genetica che entra in gioco nel meccanismo di gestione delle esperienze dell’ambiente esterno; questa componente genetica può renderci più o meno vulnerabili delle altre persone di fronte a particolari eventi. Infatti, non tutte le esperienze possono scatenare i sintomi angoscianti e predisporci allo sviluppo di una patologia mentale. Non potendo avere il controllo sulla nostra componente genetica, tutto quello che possiamo fare è imparare a combattere e affrontare le esperienze di vita che ci capitano in modo diretto.
Gli eventi negativi del passato che hanno prodotto l’effetto dei sintomi negativi possono essere molteplici; qualsiasi tipo di evento abbia causato i sintomi produce un effetto nel presente del soggetto a causa del modo in cui sono stati immagazzinati nel nostro cervello. I ricordi che danno origine ai pensieri intrusivi e ai comportamenti e le emozioni disturbanti possono avere origine o da un trauma maggiore (come violenze o catastrofi naturali), che poi si potrebbe scatenare nel disturbo post-traumatico da stress, o da un insieme di eventi traumatici minori legati all’infanzia (come essere presi in giro, subire prepotenze, scoprire che un amico ci ha tradito, essere rifiutati dalla persona dalla quale siamo attratti, sentire i genitori litigare o cadere dalla bicicletta). Gli eventi che causano questi problemi generalmente sono accaduti sono relativi all’infanzia, per esempio dipendono dall’essere stati trascurati dai genitori, dalla mancanza di un genitore in una particolare occasione della vita o da un evento avvenuto in quel particolare periodo. L’età infantile è il periodo frequente di questi problemi perché i bambini, anche grazie alla reazione del pianto del quale sono stati geneticamente programmati, sono portati a cercare la protezione delle persone che se ne prendono cura. Quando il meccanismo di protezione e cura fallisce, questa esperienza può bloccarsi all’interno del cervello sotto forma di un ricordo non elaborato.
Molti terapeuti hanno lavorato con milioni di pazienti, ottenendo risultati positivi, attraverso il trattamento EMDR. Questo tipo di trattamento inizia dal momento stesso in cui la persona entra in contatto con il terapeuta.Questi terapeuti, trovano il modo per entrare in contatto con il ricordo non elaborato senza forzare il paziente; il loro compito è cercare di indagare con i loro pazienti quali fossero le cause principali che hanno dato origine ai sintomi disturbanti e incontrollati che dipendono dai ricordi non elaborati. Quando i ricordi vengono elaborati, naturalmente o attraverso la guida di un terapeuta, allora le esperienze assumono un carattere istruttivo; questo fa in modo che le sensazioni fisiche, le emozioni e le convinzioni disturbanti non vengano più trattenute nelle reti mnesiche.
I ricordi e le reti mnesiche
Come è stato appena detto, i nostri ricordi vengono immagazzinati all’interno di reti mnesiche. Tutti noi interagiamo con l’ambiente esterno utilizzando sia la mente che il corpo e tendiamo a categorizzare le esperienze sulla base delle differenze che le distinguono e delle somiglianze che le accomunano; queste differenziazioni e comunanze vengono fatte immagazzinando le esperienze nelle reti mnesiche che abbiamo costruito nell’arco della nostra vita. Questo ragionamento avvalora il concetto che ci sia una base genetica all’origine dell’immagazzinamento dei ricordi, tuttavia esiste anche componente personale che si basa sull’esperienza del soggetto che le compie per sé stesso e per le persone che gli stanno vicino. Le reti mnesiche si costruiscono sulla base delle connessioni di eventi simili e alla cui base ci sono i nostri atteggiamenti, il nostro comportamento e le nostre percezioni.
Un modo per comprendere meglio il concetto di rete mnesica è quello di elencare tutti gli animali che ci vengono in mente. Nominare molti animali diversi non risulterà difficile perché all’interno della nostra mente abbiamo associato molti nomi alla categoria degli animali, in quanto ne abbiamo fatto esperienza; riesco facilmente a riconoscere un gatto, un cane, un cavallo o una giraffa come animali poiché ne abbiamo già visti e man mano che se ne conoscono di nuovi li posso connettere alla rete mnesica già esistente delle nostre esperienze passate e posso attribuirgli un senso.
Le reti mnesiche fanno parte del modo in cui viviamo l’ambiente esterno attraverso la mente; esploriamo e conosciamo il mondo anche attraverso il corpo, in particolare con l’aiuto dei cinque sensi (udito, gusto, vista, odorato e tatto) e grazie ai quali lo mettiamo in contatto con la nostra memoria di lavoro. Attraverso un processo continuo, sono i sensi che permettono all’esperienza di entrare in connessione con le nostre reti mnesiche cerebrali e ci consentono di comprendere il mondo che percepiamo. Tutto quello con cui entriamo in contatto può essere compreso solo se viene inserito alle reti mnesiche, le parole che leggete, le immagini che guardate, le persone con cui interagite; le esperienze, il modo in cui vengono percepite vengono comprese esclusivamente se vengono elaborate e immagazzinate nel cervello. In questo modo possiamo descrivere le reti mnesiche come le scatole che contengono le nostre esperienze e, che quando vengono immagazzinate, rappresentano la base dei pensieri, delle emozioni e dei comportamenti che agiamo attualmente nella nostra vita. In sostanza, il modo in cui agiamo nel presente dipende dalle esperienze che abbiamo fatto nel passato.
Il passato che rimane presente
Tutti noi siamo programmati in modo da trovare una “risoluzione adattiva”, l’insieme di tutte quelle informazioni che ci permettono di sopravvivere, per ciò che ci può turbare emotivamente e mettere in pericolo la nostra salute mentale. Come ho precedentemente detto, facciamo le nostre esperienze utilizzando sia mente che corpo e, indipendentemente dalle nostre reti mnesiche e della nostra dotazione genetica, siamo dotati di un sistema di elaborazione delle informazioni preposto alla guarigione. Infatti, se ci feriamo il taglio si da inizio al processo che gli permetterà di rimarginarsi e guarire, purché vengano rimossi gli ostacoli che ne impediscono il miglioramento. Il nostro sistema di elaborazione delle informazioni dovrebbe essere in grado di creare delle connessioni che tengano conto delle informazioni utili e ignorino quelle superflue.
Quando affrontiamo una discussione o un litigio proviamo una vasta gamma di emozioni, come rabbia, agitazione e paura, insieme alle quali si accompagnano altrettante reazioni fisiche. Durante il resto della giornata magari possiamo avere dei pensieri negativi sulla persona con cui abbiamo discusso e speriamo di avere la meglio su di lei; probabilmente, vi capiterà di ripensare a all’accaduto, di parlarne con qualcuno a voi vicino e di sognarlo quando andrete a dormire. Il giorno dopo l’accaduto non sarà così emotivamente disturbante e vi sentirete meglio perché avrete superato il periodo refrattario, permettendovi di “digerire” l’accaduto e di reagire nel modo migliore e non impulsivamente. Gran parte del processo di apprendimento che permette l’elaborazione delle informazioni relative a questa esperienza disturbante avviene proprio durante il sonno, in particolare durante la fase del sonno REM (Rapid Eye Movement), ovvero la fase dei rapidi movimenti oculari.
Vari studi scientifici hanno attribuito a questa fase del sonno la caratteristica di elaborare i desideri, le informazioni relative alla giornata e quelle utili alla sopravvivenza; possiamo quindi dedurne che il cervello è geneticamente preposto al compito di elaborare ininterrottamente le informazioni utili con cui quotidianamente entriamo in contatto e dopodiché le collega, per somiglianza o differenziazione alle esperienze già immagazzinate nel cervello. Una volta che l’esperienza verrà connessa alle reti mnesiche pre-esistenti il nostro cervello avrà immagazzinato tutte le informazioni rilevanti e che ci potranno servire in futuro, mentre tutte le componenti superflue svaniranno insieme alla componente emotiva negativa che la caratterizzava.
Questo procedimento permette la corretta elaborazione delle informazioni, ma cosa succede quando le esperienze disturbanti rimangono tali? Le esperienze disturbanti, dovute a traumi gravi e ad eventi stressanti possono soverchiare il nostro sistema di elaborazione. L’incapacità del nostro sistema di elaborare le informazioni e costruire le connessioni neurali, essenziali per permetterci di risolvere le situazioni, creano un grave sconvolgimento fisico ed emotivo e viene immagazzinata così come è stata vissuta nel nostro cervello. Il disturbo post-traumatico da stress causa il continuo ripresentarsi delle immagini, delle emozioni, dei pensieri e delle sensazioni fisiche provate nella situazione non elaborata dal nostro cervello. Quando si ripresenterà la stessa situazione o una simile nel presente il soggetto si sentirà di nuovo sovrastare dalle sensazioni di rabbia e paura e, nel tentativo di proteggersi attraverso lo spirito di autoconservazione, con il progressivo ripresentarsi della situazione aumenterà anche il disagio provato dalla persona.
A causa di questi ricordi del passato non elaborati, e delle reazioni che ha causato, si sono create nelle persone delle connessioni inconsce che si presentano in maniera automatica anche per situazioni apparentemente non connesse con quell’evento. Per esempio, possiamo provare paura o fastidio per una persona appena conosciuta o per un luogo appena visitato; questo solo perché ci ricordano una persona o un luogo legati a qualcosa che ci ha fatto stare male in passato. Se dopo l’evento traumatico il sistema di elaborazione delle informazioni non ha funzionato in modo adeguato allora entrare in contatto con qualcosa di simile può ricollegarsi alla rete mnesica del ricordo immagazzinato non elaborate e provocare le stesse sensazioni emotive e fisiche di quell’evento. Il ricordo, non potendosi connettere in maniera adattiva e utile alle connessioni esistenti, non può essere modificato dal sistema di elaborazione e non permette alla ferita che è stata causata di rimarginarsi; per anni quindi situazioni simili possono provocare le stesse sensazioni di dolore, risentimento e rabbia che erano legate a quella situazione, come se fossero congelate nel tempo e provocando gravi problemi nel presente.
Studi scientifici hanno dimostrato attraverso la ricerca che non solo un trauma T, ovvero un trauma maggiore, può provocare questo tipo di disturbi. Questo avviene proprio perché le connessioni delle reti mnesiche sono automatiche quindi anche un evento apparentemente insignificanti per la maggioranza può provocare nella specifica persona il riemergere delle sensazioni emotive e fisiche del passato relative ad un evento vissuto e si presentano all’interno della nostra vita al di sotto del livello della coscienza. Il disturbo, i sintomi e reazioni fisiche ed emotive, quindi, assumono rilevanza a seconda della persona e delle esperienze di vita che ha affrontato.
I traumi del passato: conclusioni
Riassumendo, si può quindi stabilire che tutte le sensazioni emotive e fisiche negative che percepiamo possono dipendere da ricordi non elaborati e possono dipendere da difficoltà nella costruzione del legame di attaccamento con un genitore, dal desiderio dovuto all’incapacità di accudire e amare il proprio figlio o dalle sensazioni di vuoto e di torpore che di solito le affiancano. Oltre alle incapacità emotive esistono appunto delle componenti fisiche e comportamentali che si manifestano in queste persone sotto forma di disturbi di panico e disturbi d’ansia e che le persone agiscono in risposta ad un perpetuo stato di angoscia e pericolo. Queste sensazioni di pericolo possono manifestarsi anche a causa di un evento avvenuto nel presente. Queste sensazioni emotive e fisiche sono frutto dei ricordi non elaborati dal cervello e che fanno parte della mente, ma anche il corpo ha un ruolo perché è colui che invia le informazioni alla mente attraverso le informazioni corporee e sensoriali.
Gli eventi del passato non sempre vengono elaborati correttamente dal nostro sistema di elaborazione, in quel caso diventano intrusivi, persistenti e disturbanti per la salute mentale delle persone. Queste persone si sentono come se non avessero una via d’uscita, alcune situazioni e persone provocano il ripresentarsi delle reazioni emotive e fisiche che costituiscono i sintomi del DPTS o di altri disturbi mentali.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.