“Quando mi trovo in mezzo a molte persone mi manca l’aria e divento ansiosa… Non so se si tratti esattamente di agorafobia… questa cosa mi capita nei centri commerciali, nei ristoranti e nelle chiese, specialmente quando sono affollati… L’anno scorso ho avuto un attacco di panico mentre mi trovavo ad una festa in un club privato, sempre con un sacco di gente… ho paura a fare tutto, non riesco più a uscire di casa, temo che potrei svenire o vomitare…”
Paola.
Ogni anno, l’1,7% della popolazione adulta riceve una diagnosi di agorafobia.
Ma che cos’è l’agorafobia?
L’agorafobia è una condizione clinica caratterizzata da ansia o paura intese, causate dalla reale o anticipata esposizione a diverse situazioni dalle quali la persona sente che sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nelle quali pensa non sia disponibile un aiuto in caso di attacco di panico.
L’agorafobia si presenta in specifiche situazioni, come ad esempio l’essere fuori casa da soli, trovarsi in spazi aperti (piazze), viaggiare su mezzi di locomozione, essere in mezzo alla folla, essere in coda, trovarsi in luoghi chiusi o in situazioni vissute come costrittive (relazioni limitanti la propria libertà), o in situazioni in cui si sente in modo prepotente la solitudine (intesa come lontananza dalle persone care).
Caratteristiche diagnostiche
Secondo il DSM 5, Manuale Diagnostico Statistico per i disturbi mentali, per poter parlare di agorafobia la sintomatologia deve presentarsi in almeno due delle seguenti situazioni:
- utilizzando trasporti pubblici (bus, treni, navi) o anche automobili;
- trovandosi in spazi chiusi (negozi, cinema, teatri);
- stando in mezzo alla folla oppure in fila;
- trovandosi in spazi aperti (mercati, ponti, piazze, parcheggi);
- essendo fuori casa da soli.
L’ansia e la paura che si sperimentano in queste situazioni devono essere accompagnate da pensieri catastrofici legati al fatto che potrebbe succedere qualcosa di terribile, che potrebbe essere impossibile allontanarsi da tali situazioni, che potrebbe non essere disponibile un aiuto da parte degli altri e sfociano in sintomi legati al panico o che provocano imbarazzo diventando invalidanti.
L’agorafobia si presenta solitamente con vertigini, paura di morire e/o svenire, vomito, intestino irritabile, ecc. Negli anziani si associano la paura di cadere e nei bambini la sensazione di sentirsi disorientati e persi. Più la persona si avvicina alla situazione temuta, maggiori sono i sintomi che vengono esperiti. Inoltre paura e ansia possono concretizzarsi in un vero e proprio attacco di panico, o nel timore che questo si verifichi.
Per poter parlare di agorafobia i sintomi devono presentarsi ogni volta che l’individuo entra in contatto con la situazione temuta, se si presentano solo occasionalmente non è possibile fare diagnosi di disturbo agorafobico. Le persone agorafobiche sono consapevoli che l’ansia e la paura che provano di fronte alle situazioni temute sono sproporzionate rispetto al dato di realtà.
Agorafobia: la strategia dell’evitamento
Solitamente le persone affette da agorafobia mettono in atto comportamenti di evitamento in modo da scongiurare la possibilità che si manifestino i sintomi legati all’ansia, quando questo non è possibile paura e ansia aumentano in modo esponenziale.
L’evitamento purtroppo influisce negativamente sulla vita quotidiana, accade che le persone si trovino costrette a cambiare lavoro per evitare di utilizzare i mezzi pubblici, smettano di andare a fare la spesa, ecc. Con il passare del tempo la restrizione della vita sociale e lavorativa porta più di un terzo degli agorafobici a isolarsi nella propria abitazione.
Gravità e frequenza
La quasi totalità delle persone affette da questo disturbo riporta che i sintomi sono presenti in modo persistente e cronico, ma se trattata, l’agorafobia, può risolversi completamente abbassando i tassi di cronicità e ricaduta. Se non trattata può portare a sviluppare un disturbo depressivo maggiore secondario o una distimia.
Le situazioni agorafobiche temute in genere variano in base all’età del soggetto: i bambini temono di rimanere fuori casa da soli, gli anziani temono di cadere e gli adulti temono maggiormente gli spazi aperti o stare in fila nei negozi.
Agorafobia: fattori di rischio e prognosi
Per quanto riguarda i fattori di rischio, nell’agorafobia bisogna tenere in considerazione fattori ambientali, genetici e temperamentali.
I fattori ambientali fanno riferimento agli eventi di vita stressanti (lutti, separazioni, ecc), traumatici (essere state vittime di un aggressione) e/o a un clima familiare caratterizzato da ridotto calore umano o iperprotettività.
I fattori temperamentali si riscontra una maggiore sensibilità all’ansia e una predisposizione ad esperire emozioni negative.
Rispetto ai fattori genetici le ricerche hanno dimostrato che l’ereditabilità di questo disturbo è pari al 61%.
La funzione dell’ansia nell’agorafobia
Siamo abituati a pensare che l’ansia sia un’emozione negativa e che non abbia alcuna funzionalità positiva. È importante sottolineare che ansia e paura sono emozioni normali, che tutti proviamo nella vita, sono normali e assolutamente legittime. Si può sperimentare ansia prima di un colloquio di lavoro o di un esame universitario. In queste circostanze l’ansia ha l’importante funzione di rendere le nostre performance migliori. In altre circostanze, l’ansia e la paura ci segnalano che un nostro scopo potrebbe essere minacciato o compromesso. Ad esempio se sopraggiungiamo con la nostra bicicletta in prossimità di una rotonda e ci rendiamo conto che l’auto che arriva dalla direzione opposta non ci sta dando precedenza, proviamo ansia e paura e rallentiamo o fermiamo la bicicletta per evitare di essere investiti. Ansia e paura, quindi, sono emozioni che normalmente segnalano un pericolo, dunque è assolutamente normale provarle in determinate situazioni.
Nel caso dell’agorafobia l’ansia diventa patologica, ovvero si manifesta in modo eccessivo rispetto alla reale situazione di pericolo (essere in metropolitana). La paura eccessiva e incontrollata porta a mettere in atto evitamenti che compromettono la qualità di vita delle persone che soffrono di questo disturbo, con un conseguente senso di insoddisfazione e di frustrazione per la propria vita.
L’ansia si manifesta con una molteplicità di sintomi che si esprimono sia a livello cognitivo che a livello fisico. I sintomi fisici sono causati dalle modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entrando in circolo, predispongono il corpo alla reazione “attacco-fuga” con tutti i cambiamenti fisiologici che ne conseguono: visione a tunnel, tensione muscolare, secchezza delle fauci, sudorazione, nausea, vertigini, capogiri, difficoltà a deglutire, tachicardia, dolore al petto, ecc.
I sintomi cognitivi si accompagnano a una sensazione di instabilità, confusione mentale, sbandamento, sensazione di irrealtà, paura di morire, di perdere il controllo o di impazzire.
L’ansia è patologica quando dà il via a una reazione attacco-fuga anche quando non esiste un pericolo reale.
Agorafobia: come capire se si soffre di questo disturbo
La prima cosa da fare è distinguere la fobia specifica di tipo situazionale dall’agorafobia. La fobia specifica situazionale dipende dall’ansia, dalla paura e dall’evitamento di una sola specifica situazione o oggetto (altezze, gatti, ecc…). per poter porre una diagnosi di agorafobia le situazioni evitate devono essere almeno due, tra le cinque sopra elencate.
L’agorafobia va distinta anche dal disturbo d’ansia di separazione nel quale l’ansia e la paura dipendono dall’allontanarsi da persone significative e dall’ambiente di casa, mentre chi soffre di agorafobia teme di poter provare sintomi imbarazzanti o panico nelle situazioni temute.
Quando l’evitamento dipende dalla paura di essere giudicati negativamente dal contesto sociale non si parla di agorafobia ma di fobia sociale.
Sintomi simili a quelli sperimentati nell’agorafobia si possono riscontrare anche nel disturbo acuto o nel disturbo post traumatico da stress, ma se i sintomi dipendono solo dal ricordo legato al trauma non si può parlare di agorafobia.
Un altro disturbo che porta all’isolamento e all’evitamento delle situazioni sociali è il disturbo depressivo maggiore, ma qui non si rinvengono ansia e paura bensì apatia, perdita di energia, bassa autostima, ecc.
Inoltre non si può fare diagnosi di agorafobia se l’evitamento dipende da una condizione medica, come ad esempio malattia di Parkinson, disturbi cardiovascolari o sclerosi multipla,. Queste persone possono evitare determinate situazioni a causa di preoccupazioni realistiche circa la possibilità di essere imbarazzati (ad esempio a causa della diarrea in una persona affetta da Morbo di Crohn) o di trovarsi in difficoltà (ad esempio svenire a seguito di un attacco ischemico transitorio).
Trattamento dell’agorafobia
Il trattamento d’elezione per l’agorafobia è la psicoterapia. In una fase iniziale di presa in carico può essere necessario associare anche una terapia farmacologica, soprattutto quando il disturbo è cronico e si basa sull’utilizzo di antidepressivi e/o benziodiazepine.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica vengono utilizzati benzodiazepine e antidepressivi di nuova generazione. Spesso questi farmaci hanno un buon effetto nel produrre benessere entro tempi brevi, ma all’interruzione della loro assunzione nella maggior parte dei casi i sintomi si ripresentano, in quanto le cause che mantengono attivo il disturbo sono rimaste inalterate (sarebbe come curare la febbre che dipende da una polmonite solo con antipiretici, senza agire sulla causa della polmonite stessa).
I farmaci, riducendo il livello di ansia e di depressione, creano un ambiente favorevole per intervenire con la psicoterapia in maniera efficace. È proprio per questo che i due trattamenti, farmacologico e psicoterapeutico, sono associati.
Va sottolineato che la terapia farmacologica non è sempre necessaria, ma se ci troviamo di fronte a una situazione di ansia molto intensa che interferisce in modo significativo sulla quotidianità della persona è bene assumerla per un breve periodo. Spesso le persone non vogliono assumere farmaci perché temono di diventarne dipendenti, questo è un pregiudizio che ostacola l’efficacia del trattamento. È vero che le benzodiazepine, assunte per un lungo periodo, possono provocare dipendenza, ma è anche vero che assunte sotto stretto controllo medico specialistico (psichiatra) il rischio di dipendenza si annulla.
Per quanto riguarda il trattamento psicoterapeutico l’approccio che si è mostrato più efficace è quella cognitivo comportamentale che da un lato si focalizza sul cercare di capire cosa ha provocato e cosa mantiene attivi gli stati ansiosi, e dall’altro propone tecniche comportamentali di gestione del disagio causato dall’ansia.
All’interno del percorso psicoterapeutico la persona viene aiuta a individuare le interpretazioni negative (ed erronee) relative ad alcune sensazioni interne al proprio corpo (capogiri, tachicardia, sensazione di vomitare, …) che vengono interpretati come segnali di una catastrofe imminente, e agli stimoli esterni (piazze affollate) che vengono percepiti come pericolosi.
L’intervento psicoterapeutico si pone i seguenti obiettivi:
- realizzazione di un contratto terapeutico nel quale paziente e terapeuta concordano gli obiettivi terapeutici
- una prima fase è caratterizzata dalla psicoeducazione sul funzionamento dell’agorafobia, sulle modalità con cui insorge, si manifesta, sui meccanismi che la mantengono in essere e sulle tecniche di gestione dell’ansia e dei pensieri disfunzionali;
- in un momento immediatamente successivo si fa una ricostruzione dell’esordio del disturbo, con la valutazione della presenza di eventuali attacchi di panico, si indagano eventuali situazioni traumatiche o stressanti risalenti al periodo di esordio e si cerca di capire come si mantiene in essere il disturbo nel presente;
- in questo contesto vengono individuate le interpretazioni erronee (i pensieri catastrofici) che scatenano l’agorafobia con la messa in discussione di tali pensieri;
- insegnamento di tecniche di gestione dei sintomi;
- graduale esposizione alle situazioni temuti ed evitati
- infine si valuta il contesto di vita della persona, le modalità con cui dà significato agli eventi e il modo con cui costruisce il proprio mondo: attraverso questa ricostruzione del funzionamento della persona si capisce come si originano le difficoltà che scatenano i sintomi con la finalità di fornire strategie più funzionali per fronteggiare le difficoltà.
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Psicologa clinica e psicoterapeuta a indirizzo cognitivo costruttivista, esperta in psicologia giuridica, CTU per il Tribunale di Brescia, formatrice. Si occupa di disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dell’umore, disturbi dell’apprendimento.